DENTRO LA PITTURA. Per Salvo Russo

DENTRO LA PITTURA

viaggi, memoria, visioni

 

“ Io ho cura di dipingere solo quadri che evochino il mistero con la precisione e il fascino necessari alla vita del pensiero. L’evocazione precisa e affascinante del mistero consiste in immagini di cose familiari, riunite e trasformate in modo tale che cessi il loro accordo con le nostre idee ingenue o sapienti”

(R. Magritte)

 

Non è certo il grand tour dei viaggiatori settecenteschi il “viaggio” che Salvo Russo ci propone, quanto un calarsi, un inabissarsi nelle segrete stanze dell’io, nelle pieghe del nostro subconscio e portare alla luce iperboree visioni di sogno, un prodigioso mondo in cui si affiancano e talvolta si fondono, la calma e l’inquietudine, il passato e il presente, il vissuto e il sognato. Ci rapisce e ci tiene sospesi, ci chiude nelle maglie di un sortilegio questa pittura morbida e irradiante, frutto di una silenziosa meditazione in cui l’afflato poetico e il pensiero filosofico sono fusi in una sola gnosi.

Appare smisurata, oggi, la confusione che opprime le arti figurative, in questo nostro tempo in cui la pittura vera è scalzata da suoi surrogati dai nomi eccentrici che ricevono patenti di credibilità e improbabili blasoni e invadono i continenti di banalità, di incoscienza e di sciocca sufficienza mischiate a torrenti di colore grasso e oleoso, dove invano cercheresti la serenante dolcezza della poesia o, anche, le sue inquietudini. La verità è che oggi i veri pittori sono quasi scomparsi o stanno per scomparire.

E’, per questo, alquanto confortante incontrarsi con la pittura di Salvo Russo, di questo artista che sta dentro la pittura come in un fortilizio a difendere le ragioni del bel fare, a nobilitare modernamente la grande tradizione pittorica italiana ed europea, con una produzione di alto valore poetico e di laica religiosità.

E’ sempre difficile capire un pittore. Certamente, molto ci è spiegato dal segno, dal colore, da quanto egli propone alla nostra osservazione, ma c’è sempre sottesa la presenza di elementi imponderabili, di sensibilità, di emozioni, di memoria, quell’unicum che costituisce il reticolo del suo mondo interiore non facilmente penetrabile. Ma quando si è presi, catturati da una produzione che ci stimola a carpire i suoi segreti, i suoi misteri, come fossero i nostri e quelli del mondo, è come trovarsi di fronte ad una fresca sorgente di emozioni.

E’ solenne la pittura di Russo, e non solo in questo lento evolversi dell’unico tema di questa mostra, il viaggio dentro e fuori di sé, dove in fondo non s’introducono che minime varianti, dove ciascun quadro, come una finestra aperta sulla poesia, viene subito dopo l’altro per restare immoto nell’eternità del tempo. Pittura solenne, dicevo, come solenne è ogni pittura di colore, intesa come spazio, forma plastica, tripudio di luce, tensione, accordi tonali raffinati, leggerezza di tocco, nutrita di classicità, che racchiude in sé e porta avanti ogni precedente esperienza culturale, non solo recente, ma anche antica, anche storica e storicizzata, come del resto dev’essere per ogni artista autentico. Egli ha recuperato un impianto costruttivo e formale a lungo dimenticato e negletto, l’amalgama polifonico della nostra più grande tradizione pittorica, ora restituito arricchito con personalissima esultanza ed incanto del disegno e del colore.

Viaggi e approdi nel tempo e nello spazio anche come viaggi nella memoria. J.L.Borges, uno che di memoria si intendeva, amava dire che la memoria è insieme anamnesi e rimaneggiamento, reminiscenza e trasformazione, non dunque fatto nostalgico o di ricostruzione del tempo passato. Russo viaggia a ritroso, con agile passo narrativo, compiendo un itinerario dentro di sé con un sottile filo di gioiosa ironia per il tramite contrapposto di pensieri, visioni, immagini e concetti, creando un bizzarro ed originale equilibrio tra l’adesione al reale e la fuga nel sogno. Egli è lì a narrare con piglio visionario e fantastico i frammenti sparsi di quella arcana storia che è sulla terra il nostro viaggio involontario.

Se, contro ogni logica, i rinoceronti viaggiano sorvolando l’Etna appesi ad una mongolfiera, se torna insistente l’icona dell’elefante immaginato nelle più estrose situazioni o se un improbabile enorme pesce si libra nello spazio, il tutto sempre sullo sfondo di cieli diafani come mai ne ho visto dipinti; se, insomma, la stravaganza, l’eccentricità, l’improbabilità, la singolarità, ma anche l’inquietudine di queste composizioni cesellate come miniature e stemperate da una sottile, ingegnosa, scherzosa dissimulazione di una condizione di spirito, ci coinvolgono, ci sbalordiscono e ci commuovono,   vuol dire che una soglia si è spalancata, come un’agnizione inattesa un varco si è aperto tra noi e l’artista, tra noi e la pittura, tra noi e la bellezza.

Manghisi, settembre 2017

                                                              

P.S.

Quando Ludovico Ariosto lesse al cardinale Ippolito d’Este, a cui aveva dedicato il suo grande poema, il capitolo 34 dell’ Orlando Furioso che descriveva, contro ogni logica, il viaggio di Astolfo sulla luna per recuperare il senno di Orlando, si sentì dire dal cardinale: “Messer Ludovico, ma

dove siete andato a pescare tutte codeste corbellerie?” Evidentemente, il povero cardinale non aveva capito la creatività e la grande poesia di Ariosto.