POVERO IL MIO PIRANDELLO! Monologo

POVERO IL MIO PIRANDELLO!

Monologo

Luisella Brancati, detta “rosa sfiorita” è un’ insegnante di lettere in pensione. Ha un’età indefinibile, ma tra i sessanta e i settant’anni. Curata all’antica, veste più con distinzione che con eleganza. Parla con calma, non avendo perduto il suo tono professionale. In scena un salottino vintage, alla parete un ritratto di Pirandello. Ripete spesso, quasi un intercalare, “Povero il mio Pirandello”, rivolgendo lo sguardo alla foto.

 

( Entra trascinando un carrellino della spesa, sventagliandosi). L’ho sempre detto io: beato chi ha inventato questo carrellino! (Rivolgendosi al pubblico)Ma ci pensate? Come avrei potuto fare la spesa della settimana, io che sono una donna sola, che vive da sola! Caricarmi di buste di plastica, che ormai le fanno anche pagare! Pensate, 10 cent. a busta; e una per il pane, e una per la frutta, e una per la carne, a cumulare un euro non ci vuol molto. E poi, quante braccia dovrei avere? E dovrei ritornare a casa carica come un asino? No, beato chi ha inventato questo carrellino che me lo trascino senza sforzo, anche con un dito. Perché una donna sola, che vive sola, e con la modestissima pensione che il governo mi ha concesso, no, che dico, che mi sono guadagnata dopo 40 anni di onorato servizio nelle scuole, deve stare molto attenta a sbarcare il lunario e non può permettersi un aiutante, anche provvisorio.

”Luisella, peggio per te che sei rimasta sola”, qualcuna di voi sadicamente potrebbe pensare.

(Riflettendo) Beh, forse sarà così, ma posso assicurarvi che più di una volta ho tentato, e purtroppo i miei tentativi sono andati a vuoto. Non crediate che non abbia avuto ottime occasioni: nel nostro ambiente, dico nell’ambiente scolastico che è stato il mio ambiente di tutta la vita, le occasioni non mi sono mai mancate. Bella non sono mai

stata, piacente sì e soprattutto intelligente. Sì, la mia forza è stata sempre l’intelligenza, perché fin da ragazza avevo capito che dovevo surrogare la bellezza con l’intelligenza. Del resto la bellezza comincia ad andar via coi vent’anni. Non si dice così? E cosa resta di una donna? L’intelligenza.

(Riflettendo) Ma non tutti gli uomini sanno apprezzare in una donna l’intelligenza separata dalla bellezza: tutti vorrebbero una donna bella e intelligente, meglio se anche ricca. Ma è cosa rara trovare una simile opportunità. E così io, più intelligente che bella, sono rimasta, diciamolo pure, nubile, che vuol dire da maritare, una proprietà che ormai ho perduto da tempo; insomma,come si dice oggi, sono single e a dirlo francamente, zitella. So bene che le mie amiche, fra di loro, non mi chiamano Luisella, ma “rosa sfiorita”, con un pizzico di ironia, ma anche di benevolenza. Io ci rido su e dico a me stessa: “ sfiorita sì, ma sempre rosa sono! E anche profumata!”

(Sorridendo, ricordando) Di fidanzati ne ho avuti tre, né pochi, né molti. Il primo era un collega di Educazione Fisica; un bell’uomo, aitante, biondo di carnagione, muscoloso, sempre allegro e sorridente anche quando non c’era di che sorridere, ma piuttosto ignorante: non ci fu verso di fargli capire che non si dice mòllica, ma mollìca, non si dice rùbrica, ma rubrìca, amàca e non àmaca. Era convinto che i bohémiens erano i nativi di Boemia! Potevo mai, io che insegnavo lettere e mi beavo di poesia, relazionarmi con i suoi muscoli? Io che sapevo tutto di Pirandello? La forza contro l’intelligenza. Così un giorno provocatoriamente gli chiesi se conosceva almeno la storia delle ceneri di Pirandello, non dico il suo pensiero, la sua narrativa, il suo teatro! (Con decisione)Domanda assolutamente retorica. Lo sapevo cosa mi avrebbe risposto e fu quella l’occasione per abbandonarlo al suo destino di palestrato.

(Indicando la foto sopra il divano) Povero il mio Pirandello! Vedete, io con Pirandello ho avuto sempre un rapporto speciale, non con lui, ovviamente, dico con la sua opera. La

conosco tutta. Lessi Il fu Mattia Pascal che ero adolescente, quel bel romanzo che anni fa, lo ricordo ancora come una bestemmia, agli esami di maturità sulla bocca di una ragazza divenne Il fu Mattia Bazar. Ci pensate? Povero il mio Pirandello! E poi, le novelle e tutto il teatro. Poco a poco, è logico, nel corso degli anni, perché Pirandello ha scritto tanto e ogni volta che leggevo una sua opera, era una vera scoperta. Insomma, io ho amato Pirandello più di qualunque altro scrittore. E l’ho fatto amare anche ai miei alunni.

(Riprendendosi) Ah, i miei fidanzati. Il secondo era molto ricco, ma si rivelò stupido. E anche avaro, come tutti i ricchi. Ogni sua azione traboccava di stupidità. La sua mancanza di logica mi indisponeva. Amava la fotografia, aveva tre o quattro macchine fotografiche di quelle speciali, ne aveva sempre una con sé e fotografava qualunque cosa lo incuriosisse, anche cose inutili e prive di senso. Era convinto che se Caravaggio fosse vissuto nel nostro tempo, non avrebbe dipinto un solo quadro, ma avrebbe usato la fotografia e sarebbe diventato un grande fotografo.

(Imitando la sua voce nasale) “Col tempo –diceva- la fotografia detronizzerà la pittura. Vedrete, vedrete”. Era convinto che noi italiani siamo il popolo migliore del mondo, si commuoveva ogni volta che vedeva sventolare il tricolore e gli faceva il saluto militare. La qualcosa a me sembrava dimostrazione di idiozia, con tutto il rispetto che noi tutti dobbiamo al simbolo della nostra nazione. E poi, per fargli spendere un soldo, ce ne voleva, l’avaraccio!

Di Pirandello, ovviamente, sapeva poco e niente, altro che la storia delle ceneri. Così una volta gli diedi la buonuscita regalandogli Bouvard et Pécuchet , il libro di Flaubert sulla stupidità, che lui, da stupido, non ne capì il messaggio, e lo licenziai. Mai e poi mai avrei potuto vivere la mia vita stretta tra l’agiatezza e la stupidità!

 

 

 

(Breve pausa) Il terzo, che fu l’ultimo, uno sciupafemmine.

Ma era abbastanza colto, scriveva di critica d’arte. Era fissato con le donne. Appena vedeva una bella ragazza, non le toglieva più gli occhi addosso e la guardava con quello sguardo che noi donne ben conosciamo e non mancavano i complimenti. Naturalmente da un punto di vista artistico, diceva lui, pura osservazione estetica, e giù a declinare la bellezza dei nudi di donna nella storia dell’arte e a far paragoni. (In falsetto) “Sei più bella dell’Olympia di Manet – diceva – o della Venere di Tiziano”.

Secondo voi, avrei potuto sopportarlo? Sicuramente sarei stata tradita, se già non l’aveva fatto, chissà! Insomma, c’era poco da fidarsi. Di Pirandello sapeva poco o nulla. Di Luigi, ovviamente, mentre sapeva tutto del figlio Fausto che era un pittore. La sua cultura era limitata alla storia dell’arte. Una volta che avevo tra le mani quell’atto unico del mio Luigi che si titola L’uomo dal fiore in bocca, per farlo recitare ai miei studenti, mi suggerì di utilizzare un bel fiore rosso di ibiscus da mettere sulla bocca dell’attore! “Per un effetto scenico – diceva – come nell’autoritratto di Pasolini”. Ma ci pensate? Credeva che l’epitelioma fosse un fiore vero, altro che la storia delle ceneri! (Guardando la foto) Povero il mio Pirandello!

(Breve pausa) E tuttavia era curioso, si incuriosiva per le cose che facevo io e questo mi faceva ben sperare. In fondo, pensavo, c’è sempre una relazione tra la letteratura e la storia dell’arte e tutto non si può sapere. Così una volta fu lui a chiedermi di conoscere la storia delle ceneri di Pirandello, di cui mi sentiva spesso parlare.

“Ma insomma- mi disse- cos’è questa storia delle ceneri di Pirandello? Di che ceneri si tratta?” Potevo non raccontargliela? E gliela raccontai. Voi cosa avreste fatto?

(Va a sedersi su una poltroncina, avvicinandola al proscenio) Tu saprai – gli dissi – anzi forse non lo saprai, che Pirandello volle essere cremato, ma a quell’epoca la cremazione era vietata dalla Chiesa e appena tollerata dal

Fascismo. Pirandello morì il 10 dicembre 1936, esattamente due anni dopo aver ricevuto il Premio Nobel, venne cremato e le sue ceneri, raccolte in una piccola urna, vennero depositate nel cinerario del Verano e lì dimenticate per una decina d’anni. Povero il mio Pirandello! Nel 1939, per iniziativa di un’associazione di giovani agrigentini, denominata Corda Fratres, il Podestà dell’ epoca, chiese a Mussolini di trasferire ad Agrigento le ceneri di Pirandello per rendergli giuste onoranze. La segreteria di Mussolini si rivolse al Segretario di Stato del Vaticano, che era Mons. Montini, il futuro Paolo VI, il quale scrisse una lettera al vescovo di Agrigento suggerendo, tra l’altro, che si potevano tenere i funerali religiosi a patto che le ceneri fossero messe dentro un tabuto e fosse nascosta a tutti la cremazione per non turbare la coscienza dei fedeli. Povero il mio Pirandello! Ma venne la guerra e del problema non si parlò più, fino a quando, nel 1946, i giovani universitari della Corda Fratres, tra cui c’era il giovane Andrea Camilleri, sì, lo scrittore, il papà di Montalbano, tornarono all’attacco col nuovo sindaco democristiano che si chiamava Lauricella. Egli inoltrò la richiesta a De Gasperi, il quale la passò per competenza al Ministro democristiano Guido Gonella. Questi allora scrisse una lettera al sindaco, in sostanza diffidandolo di celebrare i funerali alle ceneri di Pirandello. Ma i giovani della Corda Fratres pensarono di chiedere aiuto all’on. Gaspare Ambrosini, democristiano appena eletto alla Costituente, amico di De Gasperi, il quale riuscì ad ottenere l’autorizzazione al trasferimento delle ceneri.

Non fu facile, dopo dieci anni, rintracciare l’urna nel deposito del cimitero del Verano, dove era stata abbandonata. Infine le ceneri vennero riversate dal figlio Stefano nel famoso vaso greco di proprietà di Luigi, e il vaso fu sistemato dentro una cassetta piena di segatura, pronto per il viaggio.

Si sa com’erano disastrate le condizioni stradali e ferroviarie dell’Italia nel 1946, ma De Gasperi riuscì ad

ottenere dal Comando Militare Alleato un aereo da trasporto. Così l’on. Ambrosini col prezioso carico si recò all’aeroporto di Guidonia dove c’era ad attenderlo l’ aereo militare. Ma la notizia che da lì stava per partire un aereo per la Sicilia, uscì fuori dalle pareti del Ministero, dove operavano funzionari siciliani, si sparse velocemente e così Ambrosini trovò ad attenderlo a bordo pista un gruppo di corregionali che chiedevano un passaggio per la Sicilia.

Poteva venir meno la solidarietà in quella tragica situazione italiana? Ambrosini ne parlò con i piloti che non si opposero a caricare il gruppo. Ma uno di quei siciliani, che doveva essere di buona cultura, chiese cosa contenesse quella strana cassetta depositata sull’aereo e appena il militare di guardia gli disse che conteneva le ceneri di Pirandello, “Ma chi –disse – quello che si fece cremare e voleva far disperdere al vento le sue ceneri? Non vorrei che si avverasse adesso la sua volontà”. Quindi cominciò a fare scongiuri e chiese di scendere dall’aereo. Capita l’antifona, anche gli altri siciliani, chi con una scusa, chi con un’altra, uno alla volta scesero tutti dall’aereo. Povero il mio Pirandello!

I due piloti, sorpresi di quanto accadeva, chiesero spiegazioni ad Ambrosini, il quale spiegò che si trattava di sciocca superstizione a causa del contenuto della cassetta. Ma uno dei due piloti, che doveva essere di origine napoletana, capì tutto e d’accordo col suo collega si inventò un’avaria ai motori per cui l’aereo non poteva partire. Disperato Ambrosini comunicò al Ministero che l’aereo era in avaria, impossibilitato a partire. Si doveva ripiegare sulla ferrovia. Subito gli venne messa a disposizione una littorina, col carburante sufficiente per arrivare in Sicilia. Ma anche alla stazione ferroviaria, la littorina che partiva per la Sicilia venne presa d’assalto da quanti da giorni bivaccavano in attesa di un treno. Ambrosini, aiutato da un carabiniere, riuscì a sistemare la cassetta nel vano bagagli, di fronte alla toilette, e si sistemò in un sedile con una

coperta militare addosso. Ma durante la notte, quando sentì il bisogno di andare alla toilette, si accorse con sgomento che la cassetta era sparita. Dov’era finita? In preda al panico andò in giro tra fumi, cattivi odori e gambe di gente ovunque accovacciata, fin quando trovò la cassetta a far da tavolino per una partita a tresette. Meravigliati dall’ira e dai rimproveri, i giocatori non capivano la reazione di quel signore che parlava di sacrilegio. “Ma nenti amu fattu!, Passaumu u tempu”, diceva uno. E un altro “ E cchi purtati ccà intra, sterline?”

(Breve pausa) Come fu come non fu, la littorina arrivò ad Agrigento. Il sindaco si rivolse al vescovo per i funerali religiosi, ma il vescovo tirò fuori la lettera di Mons. Montini, dicendo in modo irremovibile che mai e poi mai avrebbe celebrato funerali per un pagano vaso greco, a meno che non venisse posto dentro una cristiana cassa mortuaria e si tenesse nascosta la cremazione. Venne interpellato il figlio Stefano, che ovviamente si oppose e il vaso greco, nel suo contenitore venne portato in processione per le vie cittadine per essere depositato poi nella casa natale del Caos, dove rimase per 14 anni.

(Riflettendo) Qui la storia è controversa: si dice che venne chiesto al cassamortaro di dare in prestito, magari pagando l’affitto, un normale tabuto, tanto non c’era alcun cadavere da metterci dentro, ma solo un vaso greco. Però in quel momento era disponibile solo una piccola cassa mortuaria per bambini, che però poteva contenere agevolmente il vaso greco, e quella venne utilizzata. Al passaggio della processione funebre, le donne si facevano il segno della croce e mormoravano . “ mischineddu, tantu nicu murìu stu picciriddu! E cchi ci vinni?”. Ma non sappiamo se fu veramente così. Povero il mio Pirandello!

Quando, nel 1961, ricorrendo il venticinquesimo della morte, finalmente fu pronto il monumento funebre sotto il famoso pino dove, secondo le sue volontà, dovevano essere depositate le ceneri, bisognava svuotare il vaso greco, che

ovviamente non poteva essere sepolto, e mettere le ceneri in

un tubo di piombo da infilare nella roccia. Venne incaricato dell’operazione il direttore del museo dott. Zirretta, il quale dovette raschiare le ceneri, che nel frattempo si erano calcificate, cercando di evitare la rottura del vaso. Si dice che non tutte le ceneri entrarono nel tubo di piombo e quel poco che rimase sul foglio di giornale del dott. Zirretta venne sparso via da una folata di vento, così come avrebbe voluto Pirandello. Ma non è finita.

(Breve pausa) Alcuni anni dopo il direttore del Museo Archeologico di Agrigento, che si chiamava Castellana, si accorse che dentro il vaso greco, ormai in deposito al Museo, c’erano ancora resti calcificati delle ceneri. Si decise allora di fare il DNA di tali resti e i risultati diedero un responso inquietante: i resti erano di più persone. Evidentemente al momento della cremazione, le sue ceneri erano state mischiate con quelle di qualche altro. Del resto, povero il mio Pirandello, non aveva scritto, quasi profeticamente, che siamo tutti Uno, nessuno e centomila?

(Breve pausa) Pensate che sia finita? Macchè! Anche questo venne messo in discussione. Circolò la voce che le ceneri superflue non vennero affatto disperse al vento, ma, quando ci si accorse che non entravano tutte nel contenitore di piombo, in tutta urgenza ne venne costruito un altro più capiente da un tecnico della Soprintendenza che si chiamava Bruno Arezzo, dove le povere ceneri vennero ulteriormente e definitivamente riversate. E sapete che si disse anche? Che i resti   rimasti dentro il vaso greco in fondo non erano ceneri, ma piccolissimi frammenti del coperchio. Povero il mio Pirandello!

Insomma, ditemi voi, a chi credere? Dove sta la verità?

Io sono convinta che la storia delle sue ceneri, l’ha scritta proprio lui. Dall’aldilà! Del resto non era stato lui a scrivere Così è (se vi pare)?

 

 

(Si alza dalla poltroncina e va a riprendere il carrellino)

Adesso vado in cucina, a preparare. E anche a fare i conti

della spesa. Non mi privo di nulla, sia chiaro, ma i conti devono sempre tornare. Oggi preparerò una pietanza tutta speciale, al mercato ho trovato tutto quello che mi serve. I piaceri della vita ormai posso averli perduti, ma non voglio privarmi dei piaceri della tavola.

(uscendo e rivolgendosi sorridendo al pubblico) Con discrezione, sì, ma sempre con piacere.

 

 

FINE